Il 28 febbraio 202, dopo un lungo iter iniziato il 30 marzo 2022, è stata pubblicata sulla GUUE, la DIRETTIVA (UE) 2024/825 che modifica la direttiva 2005/29/CE (pratiche commerciali sleali) e la direttiva 2011/83/UE (diritti dei consumatori). La direttiva, chiamata anche “Empowering consumers for the green transition”, riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde.
La Direttiva completa è consultabile al link Direttiva (UE) 2024/825 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 febbraio 2024, che modifica le direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione (europa.eu)
L’obiettivo finale della Direttiva, che entrerà in vigore il ventesimo giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, e dovrà essere recepita dagli stati membri dell’UE entro il 27 marzo 2026 e si applicherà dal 27 settembre 2026, è quello di migliorare le informazioni verso i consumatori che potranno così compiere decisioni di acquisto rispettose dell’ambiente e potranno svolgere un ruolo decisionale verso la transizione verde. Altro obiettivo è quello di incoraggiare le aziende a proporre prodotti sostenibili e durevoli.
La direttiva (UE) 2024/825 aggiunge diversi punti all’elenco dell’allegato I della direttiva 2005/29/UE che elenca le pratiche commerciali considerate sleali in ogni circostanza come una serie di strategie di marketing legate al cosiddetto greenwashing (ambientalismo di facciata, ovvero strategia di comunicazione o di marketing di aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività ma in realtà si tratta di un tentativo ingannevole di far apparire un’azienda conforme alle politiche e alle pratiche ecologiche, sociali o etiche, quando in realtà non lo fa o lo fa solo in misura limitata.).
Tra queste pratiche commerciali sleali che dunque diventeranno vietate rientrano:
- fare una dichiarazione ambientale sull’intero prodotto o sull’intera attività dell’azienda quando riguarda solo un aspetto del prodotto o una specifica attività aziendale,
- presentare i requisiti di legge come una caratteristica distintiva di un prodotto,
- esibire un marchio di sostenibilità che non è basato su un sistema di certificazione o non è stabilito da autorità pubbliche. Infatti, prima di esibire un marchio di sostenibilità, l’operatore economico dovrebbe garantire che quest’ultimo soddisfi condizioni minime di trasparenza e credibilità, compresa l’esistenza di un controllo obiettivo della conformità ai requisiti del sistema.
- dichiarare che un prodotto, sia esso un bene o un servizio, ha un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di gas a effetto serra facendo, però, riferimento non all’intero ciclo di vita dello stesso, ma a “compensazioni” delle emissioni in questione. Il divieto non impedirà alle imprese di pubblicizzare i loro investimenti in iniziative ambientali, compresi i progetti sui crediti di carbonio, purché le aziende forniscano tali informazioni in modo non ingannevole, e conforme ai requisiti stabiliti dal diritto dell’UE.
- dichiarare falsamente una determinata durabilità del bene in termini di tempo o intensità d’uso in condizioni d’uso normali.
- indurre il consumatore a sostituire o reintegrare materiali di consumo del prodotto prima di quanto necessario. Non si deve indurre il consumatore a credere, erroneamente, che i beni non funzioneranno più, a meno che non siano sostituiti i materiali di consumo.
La direttiva (UE) 2024/825 stabilisce inoltre che le dichiarazioni sulle prestazioni ambientali future dovranno necessariamente basarsi su un piano dettagliato e verificabile, che includa impegni chiari ed oggettivi (inclusa l’assegnazione delle risorse necessarie), e che sia pubblicamente disponibile e verificabile. Gli obiettivi dovranno essere misurabili e con scadenze precise, che dovranno essere verificate periodicamente da un soggetto terzo indipendente e dovranno essere messe a disposizione dei consumatori.
Il divieto di greenwashing si rifletterà anche sull’etichettatura dei prodotti vietando l’uso di indicazioni ambientali generiche come: “eco-friendly”, “rispettoso dell’ambiente”, “rispettoso degli animali”, “verde”, “naturale”, “amico della natura”, “che salvaguarda l’ambiente”, “biodegradabile”, “a impatto climatico zero”, “ecocompatibile” o “ecologico” se non supportate da prove. Saranno pertanto claims utilizzabili solo se le prestazioni ambientali sono conformi al Regolamento Ecolabel, a un sistema nazionale o regionale di assegnazione di marchi di qualità ecologica in conformità della norma EN ISO 14024, ufficialmente riconosciuto negli Stati membri, oppure conformi alle migliori prestazioni ambientali ai sensi delle altre disposizioni comunitarie.
Altre affermazioni che diventeranno vietate saranno ad esempio “neutrale dal punto di vista climatico”, “certificato neutrale in termini di emissioni di CO2”, “positivo in termini di emissioni di carbonio”, “a zero emissioni nette per il clima”, che possono dare l’erronea impressione dell’assenza di impatto ambientale.
Indicazioni ambientali eque, comprensibili e affidabili consentiranno agli operatori economici di operare su un piano di parità e ai consumatori di scegliere prodotti che siano effettivamente migliori per l’ambiente rispetto ai prodotti concorrenti.
Inoltre, la direttiva evidenzia che le indicazioni come “sostenibile”, “consapevole” e “responsabile” non possono essere utilizzate se sono legate a qualità ambientali, in quanto tali termini si riferiscono anche ad altri aspetti, come quelli sociali.
Oltre alla direttiva (UE) 2024/825, le istituzioni dell’UE stanno lavorando a una direttiva sulle indicazioni ecologiche che impone ulteriori requisiti per la convalida e la comunicazione delle dichiarazioni ecologiche e dei sistemi di etichettatura ambientale.
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